“Esercizi spiriturali per bevitori di vino”, il libro da sorseggiare di Angelo Peretti

Il Sommelier Magazine "Esercizi spiriturali per bevitori di vino", il libro da sorseggiare di Angelo Peretti

Racconto, saggio, manuale: “Esercizi spirituali per bevitori di vino”, libro del giornalista Angelo Peretti, è tutto questo e anche di più. Uscito nel 2023, l’opera del critico enoico infatti affronta un percorso narrativo inedito per il mondo vitivinicolo. Solitamente, il tema del vino è oggetto di manuali tecnici e di guide alla degustazione, mentre è raro che costituisca, come in questo caso, la prospettiva in base alla quale interpretare i pensieri e le azioni degli esseri umani e le necessità dei loro corpi, delle anime e delle menti. Attraverso novanta brevi capitoli a cavallo tra il racconto e il saggio, Peretti si pone l’obiettivo di condurre il lettore a riscoprire i contenuti emozionali e intellettuali – ossia “spirituali” – del bere e del vivere.

Ogni singolo capitolo degli Esercizi spirituali per bevitori di vino prende spunto da romanzi, aneddoti, poesie, canzoni che hanno a che fare con tutt’altro rispetto al vino. Un’intervista di Playboy al fondatore di Apple, Steve Jobs, è l’occasione per parlare dei timori delle persone comuni di fronte ai mostri sacri del vino e della vita pubblica. Una lettera scritta dallo stilista Giorgio Armani durante la prima ondata di Covid-19 fa riflettere sull’eleganza e sulla cafonaggine di certi vini e di certi individui. Il ricordo dei primi astronauti sulla luna fa comprendere come il senso di appartenenza a una comunità costituisca il fondamento sia della convivenza civile, sia della tipicità dei vini di un dato territorio. Le confessioni degli amanti delusi nelle rubriche online dei cuori solitari danno modo di ragionare sulla cecità dell’amore e sui difetti dei vini.

Il Sommelier Magazine "Esercizi spiriturali per bevitori di vino", il libro da sorseggiare di Angelo Peretti

Da dove è nata l’idea di fare un libro così anticonvenzionale sul vino?

Nei quasi quarant’anni nei quali mi sono occupato di vino, sia come giornalista che come consulente strategico, ho gradualmente maturato l’idea che il vino abbia un unico ingrediente segreto e che quest’ingrediente sia l’umanità. Se questo è vero, allora il vino può essere visto come una metafora dell’esistenza, un mezzo per raccontare il senso della vita. L’idea che mi ha mosso è stata proprio questa. Ho capito che se volevo raccontare il vino, dovevo narrare la vita, perché il vino è un fenomenale mediatore di incontri e di relazioni e mi sono spinto a dire che se l’ingrediente fondamentale del vino è la vita, allora chiunque può essere virtualmente esperto di vino, perfino gli astemi, perché tutti siamo esperti della vita, in quanto viviamo. Questo non significa che il vino non si debba studiare o approfondire anche sotto l’aspetto tecnico. Infatti, è bene che il bevitore non si accontenti di dire di un vino un semplice “mi piace”, ma arrivi invece a domandarsi il “perché” quel tal vino gli piaccia, e per darsi una risposta deve possedere anche la cultura del vino. Tuttavia, non dobbiamo mai confondere il ruolo tecnico dell’enologo o del sommelier con il piacere umano del bevitore. Io credo che il sentimento debba sempre superare la tecnica, altrimenti verremo sostituiti dalle macchine e dalla cosiddetta intelligenza artificiale.

Un vino può avere uno spirito proprio o può essere solo un mezzo per riscoprire il proprio?

Il vino nasce da una persona, il vignaiolo, che vive in mezzo ad altre persone su un determinato territorio e si rivolge a persone, i bevitori, che vivono in mezzo ad altre persone ancora. È lo strumento ideale per rappresentare il senso del convivio, che significa vivere assieme. Dunque, no, il vino non può avere uno spirito proprio, ma accoglie in sé lo spirito di chi l’ha prodotto e di chi lo beve, tant’è che con il nostro umore condizioniamo addirittura la qualità percepita del vino: se siamo irritati, nervosi o poco in salute il vino ci sembrerà più chiuso, ostico e spigoloso di quel che è, così come se siamo felici il vino ci parrà particolarmente gioioso. Il vino siamo noi che lo beviamo. Nel momento in cui acquistiamo una bottiglia di vino e la stappiamo, quel vino non appartiene più al produttore, ma è di noi che lo beviamo, esattamente come quando canticchiamo una canzonetta e quella canzone immediatamente non è più di chi l’ha registrata, ma è nostra.

Qual è un vino da cui è stato particolarmente emozionato?

Uno dei concetti basilari del mio libro è che i sentimenti appartengono alle persone, e dunque non possono derivare dalle cose, né trasmettersi alle cose, e il vino è materia, è una cosa. Pertanto, se mi si chiede quale vino mi abbia emozionato, devo rispondere nessuno, perché nessun vino, nessun libro o nessun dipinto è in grado di emozionare. Siamo noi che ci emozioniamo, non sono il vino, il quadro o il libro che ci emozionano, tant’è che davanti allo stesso vino, allo stesso libro e alla stessa canzone, persone diverse provano emozioni diverse. Se ribaltiamo la domanda e mi si chiede quale sia il vino bevendo il quale mi sono particolarmente emozionato, ne voglio citare due. Uno è il Saint-Émilion del 1962 di Château Fonplégade, perché bevendolo compresi che un grande vino è buono nel momento in cui lo bevi e che ogni momento della propria vita va vissuto intensamente, come se fosse l’unico. L’altro è il Barbaresco Basarin 2016 di Marco e Vittorio Adriano, perché lo bevvi il giorno in cui appresi della morte inaspettata di Vittorio e mi pareva di vedermi ancora davanti il suo sorriso da gigante buono.